Leggenda Tabarez, ha vinto i Mondiali in Russia 2018

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    Antonius Muccam Est 2jbo7tc

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    Gli dei che cadono con fragore restituiscono a questo Mondiale ammazzagrandi la giusta dimensione epica: una straordinaria storia di Uomini. Con la U maiuscola. Quelli che sono mancati ieri alla Spagna e nei giorni precedenti a Germania e Argentina. Uomini determinati a forgiare il proprio destino. Tra le molte menti eccelse che si sono esercitate sul tema, da Socrate a Nietzsche, il vecchio e compianto John Belushi non tradisce mai: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Ora che l'eliminazione diretta rende lo spettacolo crudele, decidono sì il talento e il vigore, ma soprattutto la volontà. Escono di scena le superstar del decennio, Messi e Ronaldo, e irrompono sul palcoscenico protagonisti nuovi come Beep Beep Mbappé, un cartone animato come non se ne vedeva uno dai tempi dell'altro Ronaldo, il Fenomeno, o anime zingare che giovani non sono più ma rimangono indomabili come quella che ha in corpo Edinson Cavani.

    Uomini, non solisti coperti d'oro, che sanno di dover condividere fatiche ed emozioni con altri uomini per raggiungere l'obiettivo. In una parola, una squadra. Non a caso in vetrina c'è la Francia, divenuta una realtà ammaliante grazie all'apporto di una generazione che unisce eleganza e forza, una qualità individuale notevole e una fisicità nuova, la leggerezza del ballerino e la presenza di un carro armato. Bene, questa generazione meticcia, fatta di bianchi immigrati e di neri di seconda generazione originari delle terre coloniali africane, viene dalle banlieue di molte città, le stesse che hanno partorito la versione europea dell'islamismo radicale, ma che contengono anche un tesoro di energie, l'essenza affascinante del multiculturalismo.

    Se smettessimo di elaborare il lutto della nazionale azzurra e volgessimo lo sguardo alla bellezza globale che Russia 2018 ci propone, apprezzeremmo storie che insegnano qualcosa sulla vita oltre lo sport. Come non gioire, ad esempio, per la banda di pirati uruguagi che conosciamo benissimo perché otto undicesimi della squadra hanno giocato e giocano da noi? L'Uruguay è un piccolo Paese affacciato sull'estuario del Rio della Plata. I suoi abitanti, tre milioni e mezzo, potrebbero accomodarsi tranquillamente in una nostra metropoli. La seconda lingua dopo lo spagnolo è l'italiano. Cavani non si chiama così per caso. Tutti figli di migranti economici, come si direbbe oggi. Certo un immigrazione di straordinaria qualità, ma pur sempre un esodo spinto spesso dalla fame o comunque dall'urgenza di migliorare la propria condizione.

    In un mondo terribilmente complicato, Russia 2018 diventa lo specchio di partite più grandi, ma resta un caleidoscopio di storie vittoriose. Perché questo mondiale di Uomini con la U maiuscola ha già laureato il suo campione: un signore ormai in età, colto, misurato, dolente, s'è guadagnato l'attenzione e l'ammirazione di tutti. Oscàr Washington Tabarez, detto il Maestro. I tifosi italiani lo ricordano bene, anche quelli che ai tempi del Milan lo sbeffeggiarono. Tabarez è la guida e il custode del miracolo Celeste, la squadra di una nazione minuscola che sforna eccellenza calcistica a ciclo continuo così come la Giamaica produce sprinter. Purtroppo, al Maestro è consentito di gioire per le vittorie dei suoi in modo assai contenuto: è affetto da una grave malattia neuro degenerativa che peggiora senza rimedio. L'idea di mollare, però, non l'ha mai sfiorato. Lo accompagna una stampella che ne aiuta la camminata stenta. Non so se vincerà il Mondiale, è altamente improbabile. Ma nell'immaginario popolare ha già stravinto la partita sua e di tante persone a cui il destino ha colpito il corpo, ma non la mente e l'anima. Quando la sua squadra ha segnato il gol contro l'Egitto, ha tentato di scattare in piedi, ma la sindrome di Guillan-Barrè lo ha risbattuto sulla panchina. Solo per un attimo però. Issandosi sulla stampella, si è lanciato in campo per festeggiare. In quel gesto, in quella straordinaria dimostrazione di volontà, Tabarez ha racchiuso una lezione buona per tutti. La stessa che ritrovate nelle biografie di Bebe Vio, di Zanardi e di tanti che combattono la malattia o la sfortuna correndo. Quando la vita si fa dura, e lo è quasi sempre, i duri continuano a giocare.
     
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