Mark Zuckerberg acquista WhatsApp

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    Adesso che Mark Zuckerberg l'ha pagata 19 miliardi di dollari, i commentatori sono tutti lì che dicono: io l'avevo previsto che si sarebbe preso WhatsApp, pena la lenta decadenza di Facebook. Poi spiegano perché, secondo loro, il quasi trentenne di White Plains non poteva più rinviare l'acquisto.

    Il primo motivo è che FB sta perdendo appeal tra i più giovani, i quali preferiscono altri social e peraltro usano sempre più massicciamente WA per scambiarsi messaggi via smartphone. Il secondo è che FB non è riuscito a convincere gli utenti ad usare il proprio messenger che pure offre gli stessi vantaggi di WA rispetto agli sms, ossia gratuità e ottimale funzionamento in ambiente wi-fi, senza dunque necessità di copertura cellulare. Il terzo motivo è collegato ai precedenti ma mi convince di più: fuori dagli Stati Uniti la messaggistica di WA ha avuto più successo anche dove FB è leader assoluto tra i social.

    E' il caso dell'Italia, dove l'81 per cento dei possessori di iPhone usa di frequente WhatsApp contro il 32 per cento che sceglie il messenger di FB (l'utente installa entrambe le applicazioni ma poi apre solo quella che reputa più friendly). Si tenga conto che in Italia i registrati a Facebook sono circa 21 milioni, mentre sono oltre 16 milioni gli utenti attivi su base mensile. In paesi come il nostro il rischio era, fino ad oggi, che a lungo termine la sinergia tra WA e qualche altro social facesse davvero male a FB. Calcolato a livello multinazionale e globale, il divario tra WhatsApp e Facebook messenger è meno marcato: secondo un recente report, WA viene usato almeno una volta la settimana dal 44 per cento dei 4000 possessori di smartphone intervistati in cinque paesi mentre il 35 per cento preferisce FB.

    Ma la vicenda della cessione più onerosa di sempre di una società finanziata da venture capital - finora il record erano gli 11,8 miliardi di dollari sborsati nel 1996 da US West Media per comprare Continental Cablevision - ci dice anche qualcosa sulla natura delle aziende digitali globali, ciascuna delle quali ha una specificità di prodotto che difficilmente riesce a replicare in altre aree, in autonomia e con altrettanto successo. L'alternativa procedere ad acquisizioni. Per questo due anni fa Facebook ha investito un miliardo di dollari per comprare Instagram, popolare app per la condivisione di immagini. Tre anni fa Microsoft ha pagato 8,5 miliardi di dollari Skype, il leader della telefonia via Internet, e l'anno scorso ha messo le mani su Nokia per 7 miliardi. Per moltiplicare il business Google s'è affidata quasi esclusivamente a linee esterne, inglobando via via YouTube, DoubleClick, Android, Motorola. Quando hanno tentato di sviluppare internamente qualcosa non in stretta sintonia con la propria vocazione, hanno tutte fallito quanto a creatività e originalità, che sono caratteri indispensabili per il successo. Al massimo, sono riuscite a integrare i servizi "copiati" da altri e a renderli efficienti in termini di fidelizzazione degli utenti.

    Il caso più evidente è Google+, il social che a Mountain View utilizzano come collettore e stabilizzatore dei dati degli utenti ma che resta di fatto un nano rispetto a Facebook e Twitter. Ne ha scritto giorni fa il New York Times, raccontando a quale fine gli operatori globali digitali offrono decine di servizi che hanno come unica finalità incrociare le informazioni personali e di attività sul web. Ma di questo dovranno occuparsi quanto prima le autorità garanti della concorrenza.


    fonte: huffington.post.it
     
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