Studente 19enne barese ammesso alla prestigiosa università di Harvard

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  1. Young97
     
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    La valigia è ormai pronta. Ma il suo è un biglietto di andata e ritorno. Pietro non vuole essere un cervello in fuga. «Intendo specializzarmi al meglio, cogliere tutte le opportunità che mi saranno offerte, confrontarmi con culture e stili di vita differenti dai miei per essere utile allo sviluppo e alla crescita del mio Paese».
    A 19 anni, l’unico studente italiano che quest’anno ha superato le selezioni per l’ammissione ad Harvard, la più antica istituzione universitaria degli Stati Uniti, ha le idee chiare.

    Pietro Galeone non è migliore di tanti suoi compagni perché si è diplomato al liceo classico Socrate con 110 e lode, seguendo l’indirizzo internazionale di lingua tedesca. Non è eccellente neppure per il fatto che parla correttamente, oltre che ovviamente l’italiano, anche l’inglese e il tedesco, perché mastica il francese e se la cava con lo spagnolo, imparato da autodidatta per chiacchierare con la cuginetta che abita nella penisola iberica.

    Pietro ha una marcia in più perché è curioso. E perché non si risparmia. Il piacere della scoperta è per lui un bisogno, declinato nei vari aspetti della vita, dalla lettura allo sport, dai viaggi alle amicizie, dalla filosofia alla scienza, dalla politica al teatro.

    «Non sono un intellettuale - chiarisce - ma un ragazzo come tanti che fa nuoto, pallavolo, segue corsi di teatro, fa volontariato, esce con gli amici».

    Figlio di un medico e di una docente di informatica dell’università, ha avuto la fortuna di attraversare quasi tutti i continenti, ad eccezione dell’Oceania. «Ho seguito i miei genitori nei convegni e nelle conferenze in vari Stati e ne ho assaporato le tradizioni, i saperi, la cultura».

    Ad Harvard, però, ci è finito per caso. Racconta: «Sono sempre stato affascinato dall’idea di studiare all’estero». Così lo scorso anno, con un programma di scambi culturali, Pietro passa sei mesi in una classe di una scuola vicina a San Francisco, in California.

    Da qui comincia la nuova avventura. Ricorda Pietro: «In America il ciclo delle superiori si chiude al quarto anno. I miei compagni stavano preparando gli esami propedeutici all’ammissione al college. Ho partecipato anche io, un po’ per gioco, un po’ per mettermi alla prova. L’esito è stato buono. I docenti mi hanno consigliato di proseguire l’iter. Ho ricevuto l’aiuto sia dei professori che dei counselor, figure professionali inesistenti nel sistema di istruzione italiano, ma fondamentali per motivare e orientare gli studenti».

    Pietro ce la fa. Davanti a lui si spalancano le porte delle università private. Sostiene un esame di inglese per stranieri. Invia tutte le pagelle del liceo, scrive due testi di presentazione basati su esperienze vissute. Lo studente sceglie di tracciare sia un bilancio dei sei mesi passati in California che della settimana di simulazione di lavoro nella sede delle Nazioni Unite, quest’ultimo un progetto promosso dal liceo Socrate. Dopo il colloquio, a marzo riceve due lettere: ad offrirgli un banco sono sia l’università di Harvard che la Columbia.

    «Ho scelto la prima perché si trova a Boston, città che per me ha un fascino maggiore ed è più coinvolgente di New York, città che ospita la Columbia». Pietro Galeone è l’unico italiano, fra molti concorrenti, a cui Harvard quest’anno ha aperto le braccia.

    Il 19enne non vede l’ora di partire: «Sin da piccolo ho sempre saputo di non voler fare il lavoro dei miei genitori. L’idea di passare per un raccomandato mi ha spinto a escludere le facoltà presenti a Bari. Non significa però che il mio è un giudizio negativo: se sono riuscito a superare le selezioni è perché la scuola italiana, seppur nozionistica, sforna studenti preparati. Il problema è che gli studenti sono considerati degli utenti. Negli Stati Uniti l’attenzione per i giovani è a tutto tondo: il sistema scolastico ruota intorno agli studenti visti come un investimento e non come una voce di spesa».

    Non a caso, per la scelta dei migliori, i college statunitensi tengono conto non soltanto dei voti, ma anche delle esperienze lavorative, degli stage nelle aziende, dei risultati in abito sportivo, dell’impegno nel sociale, degli interessi, della capacità di apprendere e di essere versatili. Per Pietro hanno fatto curriculum pure il palcoscenico del Kismet e la passione per la politica.






















    Fonte: LaGazzettaDelMezzogiorno
     
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